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La storia di Chemp

Raccontare di un villaggio di montagna è come raccontare una storia. Una storia che attraversa i secoli, una storia di donne e di uomini, di famiglie, di bambini. Di un passato di fatica, di stenti, di lavoro, di semplicità, di rinunce. Di amore.
È la storia di coloro che hanno vissuto le loro esistenze tra i sassi delle nostre montagne, con i volti chini sulla rudezza della terra, levando gli occhi al cielo per una timida preghiera.
Hanno consumato la pietra, quelle genti, con i passi lenti e pesanti di chi ha dovuto lottare tutti i giorni con fatica e sacrifici per strappare il pane da una terra bella ma altrettanto avara.
Pino è una persona eccezionale, incredibile. Un uomo d’altri tempi, direbbe qualcuno, semplice e umile ma tenace, figlio della sua terra. Tanti anni fa, lentamente, comincia a innamorarsi di Chemp, dei suoi muri in pietra aggettanti al cielo, degli scalini consumati dal tempo, delle piccole finestre aperte sui cortili, della luce che penetra e scava i suoi percorsi tra gli spigoli e gli anfratti delle case. Ma Pino è triste, è un amore malinconico il suo; quel gomitolo di case appoggiato al monte è in abbandono da tanti anni, frequentato solo sporadicamente da alcuni anziani abitanti; i segni sono molto evidenti: muri in rovina, l’incolto che cresce e lentamente sovrasta ogni cosa, ogni manufatto che l’uomo ha costruito nei secoli e che ora pian piano sparisce sotto il maglio del tempo e della dimenticanza.
Tuttavia, Pino non demorde, non si scoraggia. Acquista una parte di una vecchia casa, inizia a ristrutturarla e, insieme alla moglie Paola e all’amico Silvano Ferretti, trascorre lunghe giornate a riordinare, a pulire i sentieri tra le case, a tagliare erbacce, a sistemare le pietre smosse dall’acqua e dal gelo. Lentamente il villaggio riprende almeno un po’ l’aspetto di un tempo. Le mani di Pino lavorano tanto, ma sono anche le mani di uno scultore conosciuto e apprezzato in Valle d’Aosta e non solo. Il legno, così, prende forma e vita: nascono le prime opere che lui stesso colloca negli angoli più suggestivi, all’entrata delle stalle, sugli architravi delle porte o sull’aia delle vecchie case: il pastore alla guida del gregge, il bimbo nella culla, la vecchina con le sue galline, lo sguardo struggente della piccola fiammiferaia, la bimba col suo aquilone e l’incredibile, sorprendente clochard che dorme disteso sopra un letto di cartoni.
Sono regali, doni meravigliosi che l’artista offre all’ammirazione di coloro che salgono lassù. E così cominciano ad arrivare gli amici, tanti, da ogni dove. Pino invita altri artisti a scolpire per Chemp.
E come un miracolo, lentamente, il villaggio diventa un museo a cielo aperto dove le sculture si fondono visivamente con i muri delle case. Pietra e legno sono un connubio antico che il tempo non scalfisce.
L’amore e la dedizione di Pino e il fascino di quel luogo attirano sempre più la curiosità e l’attenzione degli innumerevoli amanti della montagna e delle cose semplici legate alla vita e ai valori di un tempo.
Pino racconta spesso che gli uccelli cantano dove c’è la presenza dell’uomo. Allora il nostro augurio, la nostra speranza, è che l’aria torni presto a vibrare del loro cinguettìo soave quando, alla prima luce del giorno, con rapidi voli dipingono il cielo nell’incanto dell’aurora.
Questo è il sogno di Pino e di tutti noi. “Un sogno portato dal vento.”

Umberto Druschovic